TUTELA DEL CONTRIBUENTE E CONDANNA DI EX EQUITALIA ALLE SPESE DI GIUDIZIO
La piena soddisfazione del contribuente che si rivolge al giudice si realizza non solo con l'annullamento della cartella esattoriale illegittima, ma anche con la condanna di Agenzia delle Entrate Riscossione, ex Equitalia, al pagamento delle spese di giudizio.
Spesso, infatti, i clienti mi domandano: a che vale ottenere l'annullamento della cartella esattoriale se poi bisogna pagarne le spese legali? E perché alla fine deve essere il contribuente a sostenere i costi per rimuovere un errore della Pubblica Amministrazione? Soprattutto se si considera che in molti casi il compenso dell'avvocato é maggiore dell'importo della cartella stessa.
Negli ultimi anni anche i giudici stanno mostrando una maggiore sensibilità sul tema. Il Giudice di Pace di Sant'Anastasia, per esempio, accogliendo il ricorso contro una cartella esattoriale che avevo proposto per un mio cliente, scriveva in sentenza: "le spese per tutelare un proprio diritto a seguito dell'errore dell'Ente impositore e del Concessionario non possono essere poste a carico dell'utente. La compensazione delle spese in tale ipotesi, dovendo comunque l'utente corrispondere le spese al proprio legale, sarebbe dispendiosa al pari di un rigetto della domanda e sicuramente più onerosa del pagamento della sanzione inflitta e sarebbe in stridente contrasto quindi con la sostanziale applicazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione" (sentenza n. 651/2017).
Del resto, il principio della soccombenza (vale a dire chi perde paga le spese) è un principio generale previsto dal codice di procedura civile, e costituisce la regola; invece la compensazione delle spese (vale a dire ognuno paga il proprio avvocato) costituisce l'eccezione e dovrebbe applicarsi solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Nonostante la regola, sono ancora molti (troppi) i giudici di primo grado che abusano della compensazione, applicandola a sproposito e senza alcuna valida motivazione.
In tali casi, tuttavia, il contribuente può ancora far valere i propri diritti ricorrendo in appello esclusivamente per le spese processuali, come nel caso della sentenza 742/2019, con la quale il Tribunale di Nola, accogliendo il mio appello, condannava l'Agenzia delle Entrate Riscossione, ex Equitalia, al pagamento in favore del mio cliente delle spese di lite sia per il primo grado di giudizio sia per il grado di appello.
Nella sentenza in commento il Tribunale ribadisce che "il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, SOLO se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ovvero di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni...le ulteriori gravi ed eccezionali ragioni, da indicarsi ESPLICITAMENTE nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, il comportamento processuale e prerpocessuale delle parti; la natura della controversia affrontata, le questioni trattate e le ragioni della decisione), idonea a consentire ilo necessario controllo".
La prima volta che mi sono scontrato contro l'odiosa pratica della compensazione fu nel 2010, quando ottenni l'annullamento di una cartella di pagamento da parte del Giudice di Pace. Tengo a precisare che la causa fu vinta non per un semplice cavillo, ma perché fu riconosciuta la piena ragione del mio cliente.
Decisi, quindi, di domandare direttamente al giudice perché non avesse condannato Equitalia alle spese di lite; lui rispose candidamente: "Avvocato, non le basta aver vinto la causa? Lei deve essere pagato dal suo cliente, non da Equitalia; se poi il suo cliente non può permetterselo, allora che eviti di fare cause".
Nonostante in quegli anni fossi più impulsivo e più incline all'ira rispetto ad oggi, compresi immediatamente l'inutilità di entrare in polemica con il giudice; il sistema giudiziario italiano mi offriva uno strumento per far valere i diritti del mio cliente: l'appello.
Pertanto proposi il mio primo appello per il riconoscimento delle spese di lite, ed ottenni giustizia.
Da
allora ho sempre proposto appello in caso di ingiustificata compensazione delle
spese (tutt'oggi ho appelli pendenti), ed ho sempre invitato i miei colleghi a
fare altrettanto; perché credo profondamente nel nostro sistema giudiziario, e
sono convinto che di fronte ad una prassi illegittima (come, appunto, quella
della compensazione immotivata) è dovere degli avvocati fare di tutto per
rimuoverla e per ripristinare la legalità e la giustizia.